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Cosa afferma l’ISS su la vitamina D e il Covid-19

Cosa afferma l’ISS su la vitamina D e il Covid-19?
L’ipotesi è che la vitamina D possa rafforzare l’immunità
La comunità medico-scientifica pone nuovi studi di ricerca
La Vitamina D contro le infezioni respiratorie in generale?

Ormai, da mesi, girano in Rete articoli, di settore e non, su gli effetti positivi che la vitamina D avrebbe contro il Covid-19. Utilizziamo il condizionale perché la tesi è ancora in fase di conferma scientifica, ma pare che ci siano buone prove in merito. A sostenere questa tesi, non ancora confermata, sono le ricerche e gli studi condotti in Gran Bretagna e Spagna. Sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism è stato pubblicato uno studio, condotto in Spagna sui pazienti Covid. E’ risultato che 8 pazienti su 10 presentavano una carenza di vitamina D e, inoltre che, più marcata era la carenza di tale vitamina, maggiori erano i marcatori infiammatori, collegati a grave infezione nel sangue dei pazienti affetti da Covid. L’approfondimento dello studio sta proseguendo in Gran Bretagna, su un più vasto campione di pazienti, in quanto i dati spagnoli fanno riferimento a pazienti di un solo ospedale.

Cosa afferma l’ISS su la vitamina D e il Covid-19

Riportiamo uno spunto interessante ripreso dal sito ufficiale dell’Istituto Superiore della Sanità, in data 22 luglio 2020:

“Adeguati livelli di vitamina D al momento dell’infezione con Sars-CoV-2 potrebbero favorire l’azione protettiva dell’interferone di tipo I – uno dei più potenti mediatori della risposta antivirale dell’organismo – e rafforzare l’immunità antivirale innata.”

E’ questa l’ipotesi proposta da Maria Cristina Gauzzi e Laura Fantuzzi del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISS nella lettera pubblicata a luglio sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, nell’ambito della corrispondenza scientifica iniziata ad aprile sulla stessa rivista da Hrvoje Jakovac dell’Università di Rijeka (Croazia), la lettera intitolata: “COVID-19 and vitamin D-Is there a link and an opportunity for intervention? (COVID-19 e vitamina D – esiste un legame ed una opportunità di intervento?)

“La nostra ipotesi – spiega Maria Cristina Gauzzi – si basa su dati della letteratura che dimostrano come la vitamina D, oltre ad avere un effetto antivirale diretto nei confronti di alcuni virus, possa cooperare con l’interferone di tipo I per potenziare le risposte antivirali”. Questo fenomeno – si osserva nella lettera – è stato descritto nell’infezione con il virus dell’epatite C e con rinovirus. Inoltre, evidenze a supporto di un effetto additivo della vitamina D e dell’interferone di tipo I nell’induzione di geni ad attività antivirale provengono anche da studi condotti in pazienti affetti da sclerosi multipla.

“Nelle fasi più avanzate del COVID-19 l’attività immunomodulatoria della vitamina D potrebbe invece contribuire a ridurre il danno legato all’iperinfiammazione nei pazienti con forme severe di malattia. L’interazione tra vitamina D e interferone di tipo I – concludono le due ricercatrici – è ancora poco studiata ma potrebbe rivelarsi di grande importanza, anche in considerazione del fatto che dati recenti della letteratura indicano che le complicanze dell’infezione da SARS-CoV-2 possono essere conseguenti ad una produzione insufficiente o ritardata di interferone nella primissima fase dell’infezione”.

fonte: Istituto Superiore di Sanità 

L’ipotesi è che la vitamina D possa rafforzare l’immunità

Si può affermare che la vitamina D, in linea generale, attenua la produzione delle molecole pro-infiammatorie e aumenta l’espressione di quelle anti-infiammatorie, contribuendo così alla risoluzione dell’infiammazione. Ci sono evidenze che una produzione ridotta o ritardata di interferone contribuisca ad una maggiore aggressività del COVID-19, invece uno stato adeguato di vitamina D al momento dell’infezione potenzia la risposta all’interferone, rafforzando così l’immunità innata al Sars-CoV-2.

“L’interferone indica un gruppo di proteine prodotte dalle cellule per difendersi dall’invasione di un virus. Si chiamano così perché si formano per l’interferenza reciproca tra il virus e la cellula. Quando una cellula è colpita da un virus, probabilmente stimolata dall’acido nucleico del virus stesso, produce l’interferone e lo cede alle cellule vicine, al sangue e alla linfa. Stimolate dall’interferone, le cellule producono enzimi che entrano in azione contro il virus non appena questo le raggiunge.” (fonte Focus)

Ad oggi, non sono stati pubblicati i lavori di ricerca di base o preclinica sull’azione della vitamina D in cellule esposte al Sars-CoV-2 o nella risposta immunitaria al virus. Sono state però fatte in questi mesi molte ipotesi, basate sulle conoscenze acquisite, nel contesto di altre infezioni, su come la vitamina D potrebbe contrastare il SARS-CoV-2, sia nelle fasi precoci dell’infezione, che nella fase più tardiva di iper-infiammazione.

La comunità medico-scientifica pone nuovi studi di ricerca

La grande discussione svoltasi nella comunità medico-scientifica su vitamina D e COVID-19 ha stimolato l’avvio di numerosi studi clinici per valutare l’effetto della somministrazione nei pazienti, ed il numero è in continuo aumento. I risultati saranno disponibili presumibilmente solo tra alcuni mesi. Recentemente sono stati pubblicati i risultati di un piccolo studio pilota, effettuato su 76 pazienti ricoverati nell’Ospedale Reina Sofia di Cordoba, con COVID-19 confermato da analisi molecolare e immagini radiografiche indicative di Polmonite virale. I pazienti sono stati randomizzati (cioè assegnati in modo casuale) in due gruppi: 26 hanno ricevuto solo la migliore terapia disponibile al momento, e 50 hanno ricevuto la stessa terapia in combinazione con alte dosi di 25(OH)D  (vitamina D).  Nel primo gruppo, 13 Pazienti (il 50%) hanno avuto bisogno di ricovero in terapia intensiva, mentre nel secondo solo uno ne ha avuto bisogno, suggerendo che la somministrazione di 25(OH)D possa contribuire a ridurre la gravità della malattia. Lo studio ha, a detta degli stessi autori, alcuni limiti, come la presenza di malattie concomitanti, che possono influenzare l’esito del COVID-19 e quindi confondere l’interpretazione dei risultati. Bisognerà attendere i risultati di studi più ampi con gruppi adeguatamente abbinati per una risposta definitiva circa l’efficacia della vitamina D nei pazienti COVID-19.  

fonte: Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism

La Vitamina D contro le infezioni respiratorie in generale?

Una meta-analisi degli studi clinici randomizzati controllati in cui la vitamina D è stata prescritta per la prevenzione delle infezioni respiratorie acute, pubblicata nel 2017, e ora aggiornata per includere gli studi più recenti, ha dimostrato un effetto protettivo significativo. Sono stati analizzati 39 studi clinici con un totale di circa 29.000 pazienti, hanno calcolato che in un paziente su 36 trattati con vitamina D si è prevenuta un’infezione respiratoria acuta. La somministrazione di dosi giornaliere di 400-1000 UI di vitamina D per un periodo fino a 12 mesi, rispetto alle dosi settimanali o in bolo, si è rivelata la modalità più efficace: in questo caso il numero di pazienti “protetti” è salito a 1 su 8.

La vitamina D può bloccare parte della infiammazione grave a livello di Polmonite bilaterale?

Esistono dati indicativi di un effetto protettivo in alcune condizioni associate a Polmonite. Una meta-analisi di 8 studi osservazionali con dati da circa 20.000 pazienti ha mostrato un’associazione tra carenza di vitamina D e aumentato rischio di contrarre Polmonite ospedaliera. Non sono però ancora disponibili dati consolidati su effetti della vitamina D nella Polmonite conseguente all’infezione con SARS-CoV-2. In conclusione attendiamo, in questi mesi, conferme anche in merito.

Articolo correlato: I benefici della vitamina D

 

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